1984 è un romanzo straordinario, profondamente complesso e affascinante, probabilmente il capolavoro del Novecento destinato a rinnovare di continuo la sua cifra di attualità nel tempo.
Ed è sulla base di questo presupposto che si è installato tutto il lavoro della regia e dei creativi per riuscire a portarlo in palcoscenico, rendendolo un’esperienza assai impattante, sia nei significati che nel suo farsi sulla scena. Orwell scrive immaginando un mondo distopico, creando un universo frutto della deriva socialista e tecnologica. Neanche lui poteva immaginare, probabilmente, che quell’intuizione si sarebbe prestata così tanto a rappresentare questo nostro presente seppur in nuova forma soft di dittatura fatta di hi-tech, globalizzazione tradita, media e social. Il nostro Grande Fratello e l’Oceania orwelliana vivranno, in scena, non in una dittatura del secolo scorso, ma nelle odierne Silicon Valley, negli Apple Store, a Guantanamo o in Iraq, in una diretta streaming o nel mondo dell’intelligenza artificiale e fonderanno il proprio potere sull’invasione della sfera privata – autorizzata ovviamente dal consenso informatO.