AMLETO² – dal 7 al 12 gennaio 2025 – TEATRO AMBRA JOVINELLI

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Filippo Timi presenta per la stagione 2024-25 una nuova edizione del suo Amleto, una rilettura dove ogni gesto
o parola diventa gioco e voce personale, provocazione intelligente.
Timi prende il testo shakespeariano e lo stravolge, rovescia passioni e personaggi nella stessa gabbia da circo
all’interno della quale si svolge questo elogio della follia.
Il suo è un Amleto annoiato, che non ha più voglia di interpretare la solita solfa familiare, non ha più voglia di
amare Ofelia, non ha più voglia di niente. Invano voci fuori campo lo richiamano al suo destino. Quasi un leone
in gabbia, il principe, un po’ bambino viziato, un po’ vate visionario, si aggira in mezzo ad una festa luttuosa.
Intorno a lui, personaggi direttamente scaturiti dalla sua mente folle, interpretati dalle attrici storiche della sua
compagnia, ancora una volta eccezionalmente insieme per dar vita a questa nuova edizione.
Come scrive il filosofo Lorenzo Chiuchiù, Timi iscrive il destino di Amleto in una dimensione fuori dalla storia: “le
parole che noi ci diciamo sono parole imparate a memoria” – dice Amleto a Ofelia; o “Il teatro è la trappola con
cui catturerò la coscienza” perché solo nella finzione si dà coscienza.
Per Filippo Timi è proprio Amleto ad aprire quel varco pericoloso per cui i morti esigono qualcosa dai vivi,
quando gli amori mancati o passati fanno a pezzi quelli attuali, quando si vede la purezza sprofondare senza
testimoni. Di fronte alla realtà, di fronte a certi irrimediabili eventi, il cuore e il cervello impazziscono, hanno
bisogno di trovare fughe per non soffrire. Ridere è la risposta della coscienza alla tragedia? Ridere il pianto.
Ridere la morte. Ridere l’abbandono. Ridere il tradimento. Ridere la follia.
Un Amleto spiazzante, comico, furibondo, folle e colorato. Di fronte alla tragedia esistono due possibilità:
soccombere o esplodere nel massimo della vitalità. Timi ha scelto la seconda, trasformando la tragedia in
commedia, tra potere e oblio, tra frivolezza e pazzia; esasperando così la radice comica di Shakespeare che
faceva dire a Nietzsche: “non conosco lettura più straziante di Shakespeare: cosa deve aver sofferto un uomo
per avere a tal punto bisogno di fare il pagliaccio”.